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mercoledì 22 giugno 2011

La sinistra al caviale che non vuole ricordare Francesco Cecchin.

La sinistra al caviale contro l'intitolazione dei giardini di piazza Vescovio a Francesco Cecchin. Sembra incredibile, parlando di un ragazzo di 17 anni picchiato e buttato giù da un muretto da un gruppo di squadristi dell'area antagonista della sinistra romana, tra cui probabilmente esponenti del Pci locale. Un ragazzo morto dopo due settimane di agonia in ospedale. Succedeva nel '79, trentadue anni fa. L'unica colpa di Franceso Cecchin era quella di essere di destra in un periodo in cui "uccidere un fascista non è reato", come recitavano gli slogan dell'epoca. Per questo è stato inseguito dal drappello di scalmanati estremisti rossi, scesi da una Fiat 850 al grido di "Ecco il fascista, è lui, è lui, prendiamolo!". Una fuga durata pochi metri: da piazza Vescovio fino al civico 5 di via Montebuono, dove Francesco è stato prima malmenato e poi gettato da un muretto alto 5 metri. Non ha mai avuto giustizia perché i colpevoli non sono stati trovati, in realtà neppure cercati: l'unico imputato, Stefano Marozza, è stato assolto.
Eppure c'è chi non si vergogna a fomentare l'odio, ancora oggi. Persino l'apposizione di una targa in ricordo di Francesco, in quel punto di piazza Vescovio dove è iniziata la caccia all'uomo, secondo l'opinione di alcuni intellettuali e politicanti di sinistra è "un affronto". Un "gesto inopportuno", "unilaterale", che potrebbe scatenare rancori sopiti. A trentadue anni di distanza.
Prima le proteste dell'Anpi (!!), poi addirittura una lettera al sindaco Alemanno per chiedere di non intitolare i giardini di piazza Vescovio al giovane martire della violenza politica. Violenza di sinistra. Una lettera con tanto di raccolta firme.
"I manifesti affissi nel nostro quartiere annunciano l'intitolazione dell'area verde di piazza Vescovio a Francesco Cecchin. Nei giorni scorsi, inoltre, in Consiglio municipale è stato annunciato che lì sarà eretto anche un monumento a lui dedicato. Questi due fatti ci colpiscono sia per la mancanza di un'adeguata informazione alla cittadinanza sia per le conseguenze che da essa potranno derivare in un quartiere che in anni non lontani è stato teatro di episodi di violenza politica". Comincia così la lunga missiva sottoscritta, tra gli altri, da registi come Ettore Scola, Citto Maselli e Paola Comencini, intellettuali come Nicola Tranfaglia e Giorgio Manacorda, sindacalisti come Pietro Larizza e politici del centrosinistra che vanno da Fausto Bertinotti a Raffaele Ranucci, da Edo Ronchi a Vincenzo Visco a Luigi Manconi. Ma non ci sono solo loro, hanno firmato anche comuni cittadini.
La lettera continua così: "Ci appelliamo a Lei, sindaco di tutti i romani, affinchè si faccia promotore di azioni che portino beneficio comune, azioni che vadano mai a dividere e sempre ad unire la cittadinanza. Purtroppo da un po' di tempo a questa parte il susseguirsi di episodi di violenza politica in città ci riportano invece al ricordo ancor vivo di un'epoca che credevamo passata, conclusa, destandoci la preoccupazione che quel clima di odio e di paura possa tornare a farla da padrone a Roma e nei nostri quartieri, che hanno conosciuto da vicino quella triste stagione della nostra storia, stagione di lutti e dolore. Piazza Vescovio come ogni luogo di questa città non dovrebbe appartenere a nessuno in particolare; le piazze sono di tutti, le piazze sono ricchezza e patrimonio della comunità".
Per i firmatari di questa lettera, l'idea di omaggiare Francesco Cecchin è una sorta di esproprio di un luogo pubblico in memoria di qualcuno "che stava da una parte sola", quella più vicina al sindaco.
In realtà, nessun esponente di destra ha protestato quando il viale parco delle Valli è stato dedicato a Valerio Verbano, una vittima "di sinistra". E l'idea di intitolare uno spazio a tutte le vittime degli anni di piombo, di destra e di sinistra, non è stata affatto accantonata. Ma forse non basta alla sinistra al caviale, che più di trent'anni dopo non riesce a rinunciare alle ideologie, alle strumentalizzazioni, alla faziosità. E non riesce ad accettare il fatto che l'intitolazione di un'area verde ad un martire politico di destra non sia affatto "un'occupazione abusiva del territorio", ma solo un omaggio doveroso da parte di chi non vuole dimenticare.

sabato 18 giugno 2011

Comunismo e Nazismo: in Polonia sono illegali

·                                                                                                                                Svolta a Varsavia. Il Parlamento approva a grande maggioranza la modifica del codice penale: i nostalgici adesso rischiano il carcere. Anche cantare inni come l'Internazionale e Bandiera Rossa sarà vietato

 Compagni dietrofront. Se progettate un viaggio della nostalgia sui sentieri dell'Europa ex comunista bloccate tutto. O almeno rivedete rotta e bagagli. Eh sì, perché in Polonia per voi appassionati di collanine con falce e martello, magliette con la foto del Che e santini di Lenin rischia di essere assai dura. O meglio assai lunga. Dopo la firma del presidente Lech Kaczynski al progetto di legge approvato dal Senato, i ricordi del vostro amato passato rischiano di costarvi due anni di galera. Per voi, lo sappiamo, sono oggetti del cuore, romantici souvenir di una fede mai cancellata, simboli di una passione mai sopita. Andatelo a raccontare ai polacchi. È gente semplice, prigioniera delle apparenze, legata al passato. Gente umorale, pronta ancora a indignarsi per l'eliminazione di quei 21.857 ufficiali dell'esercito polacco sterminati con un colpo alla nuca nella foresta di Katyn su ordine dell'Unione sovietica di Beria e Stalin. Gente suscettibile che ripensando ai successivi 49 anni passati a osannare i simboli da voi tanto venerati non si dà pace. Così pur di regolar i conti con passato e sentimenti non hanno esitato a modificare l'articolo 256 del codice penale dedicato all'incitamento all'odio. La nuova versione, affidata alla penna del ministro per la parificazione Elzbieta Radziszewska, mette fuori legge «la produzione, la distribuzione, la vendita, il possesso... la stampa, la registrazione e altre rappresentazioni di simboli del comunismo, del fascismo o del totalitarismo». Dunque attenzione, anche canticchiare l'Internazionale o Bandiera rossa dopo una serata a colpi di vodka Wiborowa rischia di farvi risvegliare in carcere. 
In verità, cari compagni, c'è poco da scherzare. O almeno non intendono farlo i polacchi. Nella scrittura di quel nuovo provvedimento di legge, affidato non a caso al ministro della Parificazione, c'è tutto il senso di una legge che punta a riequilibrare opere e omissioni della storia europea. Una storia sempre pronta a condannare con sacrosanta indignazione gli orrori del nazismo, ma a concedere acquiescente, romantica, indulgenza a massacri e stragi perpetrate nel nome del comunismo. La nuova legge votata dal Parlamento infila il dito in questa piaga purulenta, fa luce sulla diffusa sperequazione che trasforma in reprobo chi esibisce svastiche e memorabilia hitleriane mentre eleva al rango di simpatico e orgoglioso idealista chi continua a inneggiare ai simboli dello stalinismo. In Polonia, nonostante milioni di cittadini abbiano in passato aderito al partito con la P maiuscola, pochi sono ancora disposti ad accettare la sottile discriminazione tanto cara agli intellettuali della «gauche caviar» di Roma e Parigi. «Il comunismo è stato un sistema terribile, un regime assassino costato la vita a milioni di persone, i regimi comunisti non erano per nulla diversi dal nazionalsocialismo e dunque non c'è ragione di riservare trattamenti diversi ai simboli dei due sistemi» - ricorda lo storico polacco Wojciech Roszkowski. Il parlamento non ha fatto altro che elevare al rango di legge questa interpretazione. La nuova bozza è stata votata a grande maggioranza sia dai deputati della Piattaforma civica, attuale formazione di governo, sia dall'opposizione di Legge e giustizia, il partito del presidente Kaczynski guidato oggi dal fratello gemello Jaroslaw. 
«Grazie a questa legge - spiega Jarolaw - i simboli del comunismo sono equiparati ai simboli del genocidio e non hanno più diritto d'esistere». Per non sbagliare il ministro degli Esteri Radoslav Sikorski suggerisce di radere al suolo anche il Palazzo della scienza e cultura, grattacielo di Varsavia donato da Stalin ai polacchi. «Quella demolizione - assicura Sikorski - sarà per la Polonia l'equivalente della caduta del muro di Berlino».

mercoledì 15 giugno 2011

GLI ORRORI DEL COMUNISMO E DEL NAZISMO A CONFRONTO PER NON DIMENTICARE !









Nazismo e comunismo sono due specie all'interno dello stesso genere. Entrambi vogliono costruire una società perfetta eliminando tutto ciò che si oppone al raggiungimento dello scopo. Eppure il primo è ricordato come un incubo, il secondo è solo rimosso dalla coscienza.Che gli orrori del comunismo siano in Italia un tabù, è noto.
I crimini del comunismo non sono mai stati sottoposti a una valutazione legittima e consueta né dal punto di vista storico né da quello morale, o almeno in maniera troppo superficiale se paragonata al grande approfondimento che viene fatto sul nazismo, ma anche senza il paragone bisogna dire che l'argomento è troppo poco trattato.
La storia dei regimi e dei partiti comunisti, della loro politica, dei loro rapporti con le rispettive società nazionali e con la comunità internazionale non si riduce alla dimensione criminale e neppure a una dimensione di terrore e di repressione. Nell’urss e nelle «democrazie popolari» dopo la morte di Stalin, in Cina dopo quella di Mao, il terrore si è attenuato, la società ha cominciato a uscire dall’appiattimento, la coesistenza pacifica – anche se era «una continuazione della lotta di classe sotto altre forme» – è diventata una costante nei rapporti internazionali.
Per quantificare gli orrori perpetuati dai regimi comunisti nel mondo, come spesso è stato fatto x nazismo e fascismo, possiamofornire un bilancio in cifre, che, pur essendo ancora largamente approssimativo e necessitando di lunghe precisazioni, riteniamo possa dare un’idea della portata del fenomeno, facendone toccare con mano la gravità:

Urss, 20 milioni di morti,
Cina, 65 milioni di morti,
Vietnam, 1 milione di morti,
Corea del Nord, 2 milioni di morti,
Cambogia, 2 milioni di morti,
Europa dell’Est, 1 milione di morti,
America Latina, 150.000 morti,
Africa, 1 milione 700.000 morti,
Afghanistan, 1 milione 500.000 morti,
movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere, circa 10.000 morti.
Il totale si avvicina ai 100 milioni di morti.

LA LISTA DELLE VITTIME è STATA PRESA DA: Libro nero del Comunismo,
di Stéphane Courtois.


Andare ad analizzare tutto sarebbe quasi impossibile...cioè lo è per noi, ma siccome abbiamo il dovere di approfondire il più possibile abbiamo deciso di prendere uno dei tanti generi di orrori del comunismo, con lo scopo di sottolienarne la negatività e soprattutto con lo scopo puntualizzatore sul concetto che ogni tipo di regime rosso o nero che sia può solamente avere una risultante di "male puro"...dichiarare che comunque sia un regime che un altro hanno : "fatto qualcosa di buono"..."nonostante tutto", è semplicemente dichiarare il falso con una superficialità aberrante.

85.000.000 di vittime: questo il costo del comunismo. Com'e' potuto succedere che un ideale di emancipazione, di fraternità universale si traducesse in dottrina dell' onnipotenza statuale, in discriminazione generalizzata di interi gruppi sociali o nazionali, in deportazioni di massa e in atroci stermini? Il rifiuto sempre più generalizzato del comunismo, l'accesso a numerosi archivi fino a ieri segreti, il moltiplicarsi delle testimonianze contribuiscono a mettere in luce una verità destinata a diventare presto scontata: i paesi comunisti si sono dimostrati molto più efficenti nella produzione di gulag e di cadaveri che in quella di grano e di beni di consumo..

sabato 11 giugno 2011

Quando la Morte arriva cantando: "BANDIERA ROSSA".



ARANCIA MECCANICA IN VAL PADANA
L'alba insanguinata del 29 agosto 1944

...una storia di Puro e Semplice Orrore!

La tragedia della famiglia Ugazio viene voglia di scriverla con l'inchiostro rosso. Un rosso sangue. E ci vorrebbero anche le tonalità espressive di Eschilo per rendere con chiarezza l'atmosfera allucinante nella quale venne consumata una strage orribile che lascia increduli, inorriditi.
Le malvagità della sporca bestia umana toccano vertici sconosciuti alla bestia stessa. certo che al cospetto del calvario di Mirka, Cornelia e Giuseppe Ugazio la più maledetta iena proverebbe un moto di sgomento.
Galliate è un grosso centro agricolo industriale, posto ad una decina di chilometri da Novara. Si allunga a levante, fino alle rive del Ticino.
In questo pezzo di valle padana l'inverno è rigido, umido: una cappa pesante di nebbia avvolge tutto. D'estate l'afa, stagnante e le zanzare fanno attendere il calare del sole come una benedizione del Padreterno. Allora la gente esce di casa e si siede sui gradini. Aspetta il ristoro di un filo d'aria.
Anche la sera del 28 agosto 1944, dopo una giornata arroventata, a Galliate si aspettava il sollievo del tramonto.
Giuseppe Ugazio, un bravo uomo di 43 anni, segretario del Fascio locale, si intratteneva con alcuni amici presso la trattoria S. Carlo. Discuteva della guerra, delle terrificanti incursioni sul ponte del Ticino spaccato in due dalle bombe inglesi.
Cornelia, la figlia di 21 anni, simpatica e bella studentessa in medicina, si era recata da conoscenti che l'avevano pregata per alcune iniezioni.
Mirka, l'ultima creatura di Giuseppe Ugazio, era saltata sulla bicicletta e si divertiva a pedalare forte con la gioia innocente dei 13 anni!
Ma in quella sera del 28 agosto 1944, il destino di Mirka, Cornelia e Giuseppe Ugazio si compie. Un gruppo di partigiani, usciti dalla boscaglia, come lupi famelici attendono i tre.
 
Con un pretesto distolgono Giuseppe Ugazio dalla compagnia degli amici, poi, camuffati da militi della R.S.I. in borghese, fermano Cornelia. Mirka, la dolce bambina di 13 anni con le trecce avvolte sulla nuca e il vestitino bianco a fioroni rosa, viene spinta dalla camionetta in corsa sul bordo della strada. La raccolgono in fretta, senza dare nell'occhio, accorti come una banda di bucanieri. Una sporca e nodosa mano le comprime la bocca mentre l'automezzo si rimette in marcia. Il tragico appuntamento per le tre vittime è fissato presso la tenuta «Negrina», un cascinale isolato a mezza strada tra Galliate e Novara. Sono le 21 della sera del 28 agosto 1944, un cielo calmo, dolce, pieno di stelle. Dalle risaie si alza il concerto gracidante delle rane: alla tenuta «Negrina» incomincia invece la sarabanda, la macabra giostra. I partigiani, una ventina circa, hanno tanta fame e sete, ma per fortuna il pollaio è portata di mano e la cantina a due passi. Un festino in piena regola per tutti quanti ad eccezione dei tre prigionieri. Mirka piange ed invoca la madre. Cornelia, dignitosa come la donna di Roma, sfida con gli occhi quel banchetto di forsennati. Papà Ugazio è cereo in viso: avverte la tragedia immane che pesa nell'aria. Avanti, è ora. Il vino ha raggiunto l'effetto e a calci e a pugni la turba di delinquenti spinge Giuseppe Ugazio nel boschetto adiacente la tenuta. Lo legano ad un fusto, gli spengono i mozziconi di sigarette sulle carni e, sotto gli occhi terrorizzati di Mirka e di Cornelia, lo finiscono a pugni in faccia e pedate nel basso ventre. Il calvario dura più del previsto perché la fibra fisica dell'Ugazio resiste. La gragnuola di pugni infittisce, i calci si fanno più decisi. Ora si ode soltanto il rantolo: «Ciao Mirka, ciao Cornelia» e Giuseppe Ugazio spira.

Adesso inizia l'ignobile. Sono venti uomini avvinazzati su due corpi indifesi. Mirka è una bambina e non conosce ancora le brutture degli uomini degeneri. Dapprima non comprende, non sa, poi tenta un'inutile resistenza. Cornelia si difende ma è sopraffatta. Sette ore di violenze ancestrali, sette ore di schifo e di urla. Poi l'alba. Mirka e Cornelia non respirano più. Conviene togliere di mezzo i cadaveri e ritornare nella boscaglia. Si scavano venti centimetri di terra e si buttano le vittime. Le zolle fredde al contatto delle carni riaccendono un barlume di vita e i due corpi sussultano ancora. Ma è questione di un momento per i partigiani: a Cornelia spaccano il cranio con il calcio del mitra e sul collo di Mirka, la bambina, si abbatte uno scarpone che la strozza. La tragedia è finita.
Sull'orizzonte si alza il sole, il sole insanguinato del 29 agosto 1944, a soli otto mesi dalla "liberazione".

A mamma Maria Ugazio, il giornalista chiede di fargli vedere un ricordo personale di Mirka. Allora gli fu mostrato un album di famiglia un poco ingiallito dal tempo. Sul retro di una foto scattata nei giardini dell'Isola Bella la mano infantile di Mirka aveva scritto nel 1943 queste parole: «Al mio papalone che mi ha portato a fare questa bella gita, la sua Mirka».

venerdì 10 giugno 2011

La Ferocia inaudita della Bestia umana



 A MORTE!


Era una notte calda e umida a Bastiglia (MO) quando la sera del 27 aprile 1945 alcuni partigiani (Brigata Garibaldi) si introdussero nell'abitazione di Walter Ascari, lo derubarono, fecero razzia di carni e salumi; lo prelevarono e lo trasportarono in aperta campagna. Ascari non era fascista ma neanche comunista, era un benestante e questa era una grandissima colpa durante le "Radiose Giornate" quindi colpendo Walter Ascari avrebbero colpito lo "Stato Borghese".

Giunti in località Montefiorino alcuni partigiani estrassero dei bastoni e cominciarono a colpire il malcapitato come dei forsennati; altri con l'ausilio di una canna di bambù lo seviziarono fino a rompergli l'ano e parte dell'intestino. Ma era ancora ben poca cosa, una fine orrenda attendeva il povero Walter Ascari. "A morte!" "A morte!" Urlavano gli assassini... Per la sua mattanza finale, i gloriosi e pluridecorati eroi garibaldini pensano a qualcosa di diverso dalla solita raffica di mitra... Qualcosa di speciale... Qualcosa che soltanto la loro mente perversa e assassina poteva immaginare, qualcosa che va aldilà dell'umana cattiveria.

Lo appesero per i polsi ad un grosso ramo in modo che il corpo del moribondo fosse ben teso assicurandolo per i piedi al terreno con una corda. Poi, con una grossa sega da boscaiolo a quattro mani, lo tagliarono in due! Da vivo! Il suo corpo fu gettato in seguito in una porcilaia. Quando lo ritrovarono, ben poco era rimasto di quel povero uomo.

Queste storie maledette di partigiani assassini, li pubblico affinchè cada, dopo oltre 50 anni, il muro di omertà che ha avvolto la storia della repubblica, la storia dei falsi liberatori, la storia d'Italia. Parecchi ex partigiani sono ancora viventi, vale a dire che parecchi assassini sono ancora in libertà. Saranno vecchi, forse decrepiti, ma l'età non li ha migliorati di certo.

Essi credono fermamente nei valori in cui credevano durante la guerra, non esiterebbero ad uccidere pur di soddisfare la loro cattiveria, perchè si tratta solo ed esclusivamente di cattiveria fine a se stessa, nient'altro. Ci sono ex partigiani, anzi io li definirei partigiani a tutti gli effetti, che ancora oggi intimoriscono le popolazioni locali dei luoghi dove si verificarono queste orrende vicende. Raccontati oggi, questi episodi terribili sembrano venire da un altro mondo, forse da un'altra galassia, tanto sono pieni di inspiegabile ferocia, di paurosi istinti animaleschi.

Come nella grande tradizione del C.L.N. (Comitato Liberazione Nazionale), anche questo fatto sarà classificato ed archiviato come "coraggiosa azione di guerra" e gli esecutori di questa orribile mattanza rimarranno impuniti, anzi, premiati con medaglie al valore!

giovedì 9 giugno 2011

Quando la Morte arriva cantando: "BANDIERA ROSSA".


 LE IENE
il sonno della ragione genera mostri
Sorpresi nel sonno, avvelenati, torturati ed infine tagliati a pezzi. Fu questo il tragico destino di ben dodici giovani Carabinieri, catturati dai partigiani alle Cave dei Predil, nell'alto Friuli.

I Carabinieri costituivano un presidio a difesa della centrale idroelettrica di Bretto. Il 23 Marzo 1945 i partigiani presero in ostaggio il Vicebrigadiere Dino PERPIGNANO, comandate dei presidio che stava rientrando negli alloggiamenti, sotto la minaccia delle armi, lo costrinsero a pronunciare la parola d'ordine e, con facilità, una volta entrati nel presidio, catturarono tutti i Carabinieri, già in parte addormentati.
Dopo il saccheggio, i dodici militari furono deportati nella Valle Bausizza e rinchiusi in un fienile
 ove fu loro 
servito un pasto nel quale era stata inglobata soda caustica e sale nero. Affamati, inconsciamente mangiarono quanto gli era stato servito, ma, dopo poco, le urla e le implorazioni furono raccapriccianti e tremende. Erano stati avvelenati e la loro agonia si protrasse fra atroci dolori per ore ed ore.
Stremati e consumati dalla febbre, Pasquale RUGGIERO, Domenico DEL VECCHIO, Lino BERTOGLI, Antonio FERRO, Adelmino ZILIO, Fernando FERRETTI, Ridolfo CALZI, Pietro TOGNAZZO, Michele CASTELLANO, Primo AMENICI, Attilio FRANZON, quasi tutti ventenni (e mai impiegati in altri servizi tranne quello a guardia della centrale, cui erano stati sempre preposti), furono costretti a marciare fra inesorabili ed inenarrabili sofferenze ed insopportabili sacrifici fino a Malga Sala ove li attendeva una fine orribile.
Il Vicebrigadiere PERPIGNANO fu preso e spogliato; gli venne conficcato un legno ad uncino nel nervo posteriore dei calcagno ed issato a testa in giù, legato ad una trave; poi furono incaprettati.
A quel punto, i macellai partigiani, cominciarono a colpire tutti con i picconi: a qualcuno vennero asportati i genitali e conficcati in bocca, a qualche altro fu aperto a picconate il cuore o frantumati gli occhi.

Ad AMENICI venne conficcata nel cuore la fotografia dei suoi cinque figli mentre il PERPIGNANO veniva finito a pedate in faccia ed in testa.

La "mattanza" terminava con i corpi dei malcapitati legati col filo di ferro e trascinati, come bestie, sotto un grosso masso.
Ora le misere spoglie di questi Carabinieri Martiri Eroi riposano, dimenticati dagli uomini, dalla storia e dalle Istituzioni, in una torre medievale di Tarvisio le cui chiavi sono pietosamente conservate da alcune suore di un vicino convento.
Si scoprì, in seguito, che l'eccidio fu consumato dalle bande partigiane filo slave a Malga Bala, sulle montagne del Friuli, ma ci sono voluti oltre 50 ANNI per commemorarli con tutti gli onori.
SOLO poco tempo fa i più alti gradi delle Forze armate sono andati a Tarvisio ricordando solennemente le vittime di una guerra persa e promettendo una medaglia a oltre mezzo secolo di distanza.
Uno dei sospettati dell'eccidio, tale Alojz Hrovat, che oggi vive in Slovenia, viene a ritirare la pensione italiana proprio nella banca di Tarvisio a due passi della torre medioevale dove riposano i resti di alcuni dei trucidati.

martedì 7 giugno 2011

Cos'è l'antifascismo ?

Gentile Direttore, vorrei far giungere il mio pensiero (e non credo solo il mio !) ai signori dei vari e così detti “comitati antifascista” che continuano a pensare di essere i paladini della libertà di questo Paese. Mentre il fascismo fu al potere, l'antifascismo fu una lotta per la libertà politica. Quando il fascismo divenne uno strumento del nazismo, la resistenza al fascismo prese la qualità spirituale della resistenza al nazismo. Dopo la fine del fascismo, l'antifascismo fu una discriminazione politica contro gli italiani che si riconoscevano nell'eredità del fascismo (Msi) trattati come minoranza antidemocratica nonostante la loro consolidata adesione alla democrazia ed all'Occidente. L'antifascismo fu la menzogna comunista per vincolare a sé i democratici cristiani.
L'anticomunismo, che è una verità sempre necessaria, divenne per la cultura italiana una sciocchezza, l'antifascismo una nobiltà legittimante. Questo è il trionfo della menzogna comunista che rimane ancora fortissima.
Non siete stanchi di vedere sempre quella gente che non fa altro che criticare e discriminare le idee degli altri sbandierando ideologie fallite in tutto il mondo. Basta andare all'Università per vedere gruppi di collettivi che inneggiano continuamente alla cultura dell'Anti. Odiare, sanno solo odiare ergendosi a paladini e inneggiando a personaggi antidemocratici e rivoluzionari di cui probabilmente non conoscono neanche la storia. .Sono passati 70 anni dalla fine della guerra e del fascismo, la maggior parte dei nostri nonni a malapena lo ricordano e molti anche in senso positivo ma ancora oggi c'è chi grida: "siamo tutti antifascisti". Non esiste evoluzione mentale per questa gente?
L'antifascismo è una degenerazione mentale, fatta di gente che sa solo criticare gli altri e proporre niente o al massimo utopie ! Non voglio assolutamente spronare all'odio nei confronti della sinistra e all'amore verso il fascismo, ma onestamente una persona che alla domanda "che idee politiche hai ?" Mi risponde "sono antifascista", lo considero un idiota.
Per chi ama la democrazia e la libertà, ha nel suo animo un sentimento che si chiama libertà di tutti e per tutti e ricerca continua di tutte quelle libertà di cui ha bisogno l'uomo nella sua continua crescita.

Il Gigante e una giornalista comunista.

"Anche se è morto dicendo: vi faccio vedere come muore un Italiano, Fabrizio Quattrocchi non meritava la medaglia d'oro". 
Parola della giornalista comunista del Manifesto la cui liberazione costò la vita a Nicola Calipari.
Le parole pronunciate contro il riconoscimento a Fabrizio Quattrocchi, mostrano chi è un Gigante che ha dignità e chi, invece, non sa cosa voglia dire "dignità", "onore" e, soprattutto, "rispetto" per chi è morto da Eroe.

Fabrizio Quatrocchi non era un mercenario come volgarmente qualcuno a cercato di farlo passare ma era consapevole di fare un mestiere pericoloso. Si occupava di sicurezza, era uno specialista.

I rapitori lanciarono all'Italia: chiesero al Governo ritiro delle truppe dall'Iraq, e le scuse per alcune frasi che avrebbero offeso l'Islam. L'ultimatum fu rifiutato. Secondo Yussuf, Quattrocchi, ormai consapevole del suo destino, avrebbe chiesto perché intendevano ucciderlo. «Per chiedere al governo italiano di ritirare le truppe», sarebbe stata la risposta. L'italiano avrebbe replicato: «È inutile, il mio governo non tratterà mai con voi ».
I rapitori allora lo costrinsero a inginocchiarsi in una fossa, bendato e con le mani legate.
Stando alla versione di Yussuf, per liberare gli altri tre ostaggi furono pagati 4 milioni di dollari. La versione ufficiale della liberazione di Cupertino, Agliana e Stefio parla invece di un blitz incruento da parte delle truppe americane.

«Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: "Posso toglierla?" riferito alla kefiah . Qualcuno gli risponde "no". E allora egli tenta di togliersi la benda e pronuncia: "Adesso vi faccio vedere come muore un italiano". Passano pochi secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno, nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. "È nemico di Dio, è nemico di Allah", concludono in coro i sequestratori.»

LA VERA STORIA DELL’EROE DEI DUE MONDI

Giuseppe Garibaldi è sicuramente il personaggio storico del XIX secolo più popolare. Ma la vera storia dell’Eroe dei Due Mondi, è un po’diversa da quella raccontata dai libri di storia. Ecco qui alcuni stralci di una biografia “senza censure”, dalla quale il giovane Garibaldi esce con le ossa rotte…
Non c’è un solo Comune, in Italia, grande o piccolo che sia, privo di una piazza o di una via dedicata a Giuseppe Garibaldi. È sicuramente il personaggio storico del XIX secolo rimasto più popolare, certamente più degli altri due monumenti del Risorgimento, Cavour e Vittorio Emanuele II. È solo con l’avvento del leghismo che si inizia a rendere Carlo Cattaneo un più degno concorrente dell’Eroe dei Due Mondi.
Ma l’uno è uomo d’azione, l’altro è essenzialmente di scienza e di lettere. L’uno agiva con grande impeto militare ma con scarsissime capacità letterarie (non era Giulio Cesare), l’altro possedeva zero qualità guerresche ma aveva autentiche capacità di progettare il futuro di una nazione. Un vero peccato che fra i due non si sia potuta stabilire un’intesa, nemmeno quando Cattaneo corre a Napoli per seguire la dittatura garibaldina.
Eroe dell’Ottocento borghese, Garibaldi rispecchia l’animo di una borghesia in gran parte ancora pionieristica e avventurosa, romantica al di là del bene e del male. Presto si trasforma in un “mito” per chi sta seduto tutto il giorno dietro una scrivania, non si concede il minimo sgarro alle regole, non rischia nemmeno il proprio pennello da barba e si limita a sognare mondi da conquistare, viaggiando con la fantasia. Garibaldi evoca un Sandokan in carne e ossa, ma non ha la purezza irreale del personaggio creato da Emilio Salgari. Di suo, aggiunge l'essere un autentico tombeur de femmes. Donne ne ha avute così tante nella vita che la sua fama potrebbe stare in piedi solo per il vissuto privato. E forse, anche per questo, è simpatico a Vittorio Emanuele II, che si onora di averlo come amico.
Dalla visione disincantata di Gilberto Oneto, che ha scritto "L’Iperitaliano, Eroe o cialtrone?", l’Eroe dei Due Mondi ne esce mito pompato dalla letteratura giornalistica di ispirazione massonica prima ancora che tornasse in Italia dopo i 12 anni trascorsi in America latina, nessuno dei quali svolgendo un lavoro onesto e normale che sia uno.
Da questa biografia “senza censure”, o non autorizzata, il giovane Garibaldi esce con le ossa rotte: già massone mazziniano poco più che ventenne, per tutta la vita non farà altro che collaborare con i servizi inglesi, protetto ben oltre il limite della decenza, svolgendo di fatto una pesante attività di pirateria al soldo dei potentati locali.
L’INIZIO FRA RAPINE E SACCHEGGIricorda che ricorrerà spesso alla rapina, al saccheggio e al pluriomicidio - particolare quest'ultimo che lo vede personalmente coinvolto - mediante bande armate spesso costituite da delinquenti e ladroni, reclutati da oriundi italiani da lui guidati e lasciati liberi di scorrazzare intorno ai grandi fiumi e ai mari che lambiscono i confini dell'Uruguay, dell'Argentina e del Brasile. Perfino le vicende amorose con la moglie Anita hanno un romantico risvolto noir, dal momento che non si è mai compreso come sia morto e dove sia stato seppellito il primo marito della donna, dopo il colpo di fulmine che trafisse la donna e il futuro generale dei Savoia.
Tuttavia, prima del suo ritorno in Italia, Garibaldi non riuscirà ad arricchirsi, anche perché in questa fase della sua vita il denaro non sembra interessarlo molto. Un particolare che alla fine lo salva, facendone una figura più complessa, allontanata dal comune criminale.
I primi veri patrioti al suo comando, eroi pronti a sacrificare la vita per un ideale, li avrà soltanto durante le vicende della repubblica romana, quando, circondato ai vertici da una schiera di incompetenti e presuntuosi proverà a mettere a disposizione la sua indiscussa esperienza con le armi e con le tattiche guerrigliere. Sarà anche la prima volta che si scontrerà drammaticamente con un esercito di valore e ben altrimenti organizzato rispetto a quelli incontrati in America Latina, dove l’essere “eroi” è ordine del giorno.
IL FALLIMENTO DEL GUERRIGLIEROha a che fare con l’esercito francese, ben organizzato e meglio civilizzato: nulla a che vedere con i comandi militari latinoamericani. L'impatto è durissimo: non solo fallirà l'intento di radicare la latitanza "politica" nelle campagne, ma nella fuga affannosa muore di stenti Anita, molto amata sebbene spessissimo tradita con una intera collezione di donne. Un "Che" Guevara ante litteram non può nascere nello stato pontificio. Anzi, sebbene i sostenitori posteri abbiano messo in campo di tutto per presentarlo alla stregua di un guerrigliero buono, non può nascere in nessuna parte d'Italia, men che meno nel Mezzogiorno, dove nel fenomeno definito come “brigantaggio” c’è una paradossale reazione opposta da parte di contadini. Non c’è tutto questo conclamato entusiasmo per l’unità politica della Penisola, Garibaldi se ne rende ben conto.
Ma se le cose stanno così, come mai riesce la missione dei Mille? Enorme è l’intreccio di corruzione, massoneria, mafia, camorra, fra una rete di complotti interni e internazionali. In questo contesto nascerà l’Italia che ogni cittadino ha imparato a conoscere.
Quando l’Eroe dei Due Mondi sbarcherà a Marsala (le pagine in cui Oneto descrive il viaggio verso la Sicilia sono sicuramente tra le più belle del libro) è già stato ampiamente preceduto dagli emissari di Cavour che non si sono fatti scrupoli nell’investire ingenti somme di denaro per corrompere alti ufficiali dell’esercito napoletano e autorità pubbliche. L’appoggio della massoneria è totale. E tra i primi ad ingrossare le file dei Mille ci sono i picciotti, particolarmente sanguinari, legati alla mafia, già allora ramificata nelle campagne nonostante fosse efficacemente combattuta dalle autorità del Regno delle Due Sicilie, almeno all’interno delle città. Lo stesso succederà con la camorra a Napoli, che si mette al servizio di Garibaldi.
L’INTRECCIO DI MAFIA E COMPLOTTIil Regno d’Italia mafia e camorra non conosceranno più limiti alla loro espansione. Naturalmente, l’intera operazione di conquista è seguita dalla flotta inglese, che ha l’ordine di accogliere Garibaldi qualora le cose gli andassero male. Nel “L’Iperitaliano”, Oneto cita con precisione fatti, nomi, circostanze; riscostruite le somme elargite, le promesse di carriera nell’esercito italiano, gli episodi dei numerosi saccheggi ad opera di garibaldini e furbacchioni aggregati all’ultimo momento.
NINO BIXIO CRIMINALE DI GUERRAi siciliani non è solo un triste avvio della nuova unità nazionale, un cambio di sovrano, un’annessione senza consenso al Piemonte, ma una nuova sottomissione ben peggiore della precedente. Ai contadini, cui inizialmente era stata promessa la terra, fu tolta ogni speranza: le terre ecclesiastiche requisite e addirittura quelle demaniali concesse solo ai soliti baroni che potevano acquistarle all’asta. In alcuni dei villaggi che osarono ribellarsi - quelli di Bronte, Niscemi e Ragabulto, dove i latifondisti erano inglesi - fu mandato il generale Nino Bixio: un pazzo sfrenato, vero e proprio criminale di guerra che non esitò a far fucilare decine di innocenti. Oggi uno come lui sarebbe sotto processo all’Aja, ma la retorica risorgimentale ha trovato comunque il modo di dedicargli una via in ogni città.
Anche il passaggio sullo Stretto, in Calabria, avviene più o meno con le stesse modalità, con la marina napoletana e gli alti ufficiali dell’esercito misteriosamente sordi e ciechi, tanto da spingere in più occasioni marinai e soldati a rivoltarsi contro la palese (e interessata) viltà dei comandi. In Calabria, circa 1500 garibaldini ebbero ragione di 17 mila soldati napoletani, che o non spararono un colpo, o si arresero in massa o abbandonarono l’uniforme o passarono con Garibaldi.
L’ingresso a Napoli del generale col poncho avviene ancora una volta senza colpo fierire, auspice la potente flotta della marina britannica e la camorra, unica capace di garantire una parvenza di ordine pubblico. Dopo l’unificazione, gli ufficiali passeranno in massa con l’esercito italiano con ampie promozioni, ma pochissimi furono quelli della truppa che seguirono lo stesso esempio. Tra Milano, Alessandria e Bergamo il Regno dei Savoia allestirà veri e propri lager destinati ai meridionali riottosi: 32 mila prigionieri tenuti in condizioni terrificanti, molti dei quali moriranno di stenti.
Il governo di Garibaldi a Napoli resta a tutt’oggi una delle peggiori esperienze cui sia toccato di passare alla città lungo tutta la sua storia. Fu caratterizzato da provvedimenti spesso insensati, come l’abolizione tout court dei dazi, che mandò in rovina l’industria del Sud, o di pura rapina, talvolta vendicativi e crudeli. C’è anche una forte elargizione di denaro pubblico alla camorra affinché provveda alle “esigenze del popolo”; alle mogli, alle sorelle, alle cognate dei più potenti camorristi sono assegnate ricche pensioni. Nel giro di due mesi non c’è più un soldo nelle casse dello Stato napoletano: sparisce l’equivalente di duemila miliardi di euro, gran parte del quale in modo misterioso e ingiustificato. Le prove di ruberie e sprechi, o parte di esse, giacciono a tremila metri in fondo al mare, insieme ai relitti di una nave che doveva essere diretta a Genova ma che è naufragata in circostanze più che sospette.
UN CONFUSO MASSONE DI SINISTRAstoria d’Italia inizia così, nel 1861. Garibaldi guida un’impresa più grande di lui ed è totalmente privo delle qualità di uno statista. Fallisce anche l’ultimo tentativo di fondare uno Stato diverso, come gli suggeriva l’entourage repubblicano e lo stesso Carlo Cattaneo, che insisteva sui principi federalisti.
Dopo l’impresa dei Mille, nonostante l’acquisizione dei massimi gradi della massoneria, che comunque non sarà disposta a seguirlo, Garibaldi assumerà posizioni politiche sempre più sinistrorse, fino a presenziare all’Internazionale socialista con Marx e Bakunin, accentuando un anticlericalismo viscerale, impensabile oggi. Ma quando gli offrono il rischioso comando militare della Comune di Parigi, gentilmente rifiuta.
Per tutta la vita, l’Eroe dei Due Mondi, proprio in virtù delle sue capacità guerrigliere, mai sostenute da una effettiva cultura politica, si è lasciato sempre strumentalizzare da poteri forti e fortissimi, dai quali si dissocia solo a parole, dirigendo la sua azione contro malcapitati comunque destinati a essere fatti a pezzi dalla storia.

E se è la sinistra a sospendere la mensa dei bambini ?


Cosa hanno in comune Montecchio Maggiore (Vi), Adro (Bs), Fossalta di Piave (Ve), Barletta, Savona e Casorate Primo (Pv)? Apparentemente nulla. In realtà sono sei esempi scelti a caso di Giunte comunali che hanno preso una decisione "estrema" per arginare l'abitudine di tanti (troppi) genitori a non pagare la mensa scolastica dei loro figli: sospendere il servizio, o quantomeno minacciare di farlo. Meno casuale è la scelta del "colore" di tali Giunte: le prime tre sono di centro-destra, con un sindaco leghista; le altre di centro-sinistra con sindaco in quota Pd o lista civica affine. Par condicio. Ai bene informati non sfuggirà una stranezza: i casi di Montecchio Maggiore, Adro, Fossalta di Piave hanno provocato una certa risonanza mediatica, sono stati diffusi dagli organi di stampa a livello nazionale, su internet basta digitare uno dei tre nomi in qualsivoglia motore di ricerca per ottenere paginate intere. Tant'è che non vale neppure la pena parlarne, si sa già tutto, anche ciò che non esiste. Per quanto riguarda Barletta, Savona (capoluoghi di provincia) e Casorate Primo, invece, bisogna scomodare la stampa locale (a volte neppure quella), persino la ricerca on-line si rivela particolarmente ardua. Eppure sono casi documentati. Alla scuola "Modugno" di Barletta, nove bambini senza "card pasti" hanno aspettato nei corridoi mentre gli altri mangiavano: i genitori non avevano i mezzi economici sufficienti per ricaricare la tessera. Dopo qualche giorno il primo cittadino Nicola Maffei (Pd, ex Margherita) ha fatto sapere di "voler risolvere il problema, perché la Puglia non dovrà mai essere paragonata alle realtà leghiste". Non sia mai, nella terra di Vendola, anche se si fatica a intuire le differenze.Il sindaco Gianni Rho (lista civica di centro-sinistra) di Casorate Primo, provincia di Pavia, non è andato per il sottile: accortosi delle ben 210 famiglie morose e del debito di 27.000 euro, ha deciso di minacciare la sospensione del servizio ai danni di chi non paga. Risultato: qualcuno ha saldato il dovuto, altri vedranno i loro bambini tornare a casa per pranzo il prossimo anno, proprio come nella leghista Fossalta di Piave.Idem per Savona, dove l'assessore ai servizi scolastici Isabella Sorgini, del Pd, ha fatto diffondere il seguente messaggio «Si informa che, come da delibera della giunta comunale, gli utenti che presentano dei bollettini insoluti da settembre 2007 ad oggi non potranno essere ammessi alla mensa dell’anno scolastico 2010/2011». Come ad Adro.Al di là delle anomalie con cui sono circolate le notizie, si può dire che non ci sia nulla di strano: il servizio delle mense scolastiche deve essere pagato dai genitori, non dai Comuni. Ed è regolato, con criteri pressoché scientifici, dai certificati Isee. Chi ha redditi bassi, in base alle documentazioni Isee, può essere esentato o beneficiare di sconti: spetta al Comune decidere tariffe e scaglioni. Non c'è alcun motivo per non pagare, se non quello di essere un cattivo genitore che preferisce spendere in altro piuttosto che per la mensa del figlio.Si può fare come a Genova, amministrata dal centro-sinistra, dove solo tre famiglie su dieci pagano per intero, ma l'Agenzia delle entrate è intervenuta denunciando un "sovradimensionamento delle esenzioni per volontà fraudolenta", ossia il Comune non fa pagare anche chi potrebbe permetterselo, ingigantendo il debito. O come a Castel San Giovanni (Pc), dove la nuova Giunta di centro-destra ha ereditato un debito di 40.000 euro nel bilancio riservato all'istruzione, proprio perché poche famiglie pagavano la mensa: il nuovo assessore, Valentina Stragliati (Lega), ha deciso di "far pagare tutti in base alle loro possibilità", ed ora il debito è di soli 2.000 euro.Fatto sta che, contrariamente a quanto ipotizzato da certa stampa, la decisione di sospendere i servizi mensa non è appannaggio dei soli sindaci leghisti, spesso accusati in modo dissennato di “razzismo”.La colpa è semmai di chi non paga sperando nel pietismo degli organi di informazione e in qualche “benefattore” che lo faccia al suo posto.

Riccardo Ghezzi

Chi sono i black block....

Per capire chi sono i black block, bisogna chiedersi chi paga queste migliaia di militanti itineranti, alloggiarli e mantenerli a volte per settimane come è successo al Genoa Social forum, fra concerti, conferenze ed invitati dall'estero.Se grandi finanziatori e speculatori che detengono capitali enormi si affidano a questi movimenti rivoluzionari e sanguinari, qualche campanello d' allarme si può e si deve accendere! La parola “destabilizzazione” vi suggerisce qualche cosa ?

I Black block hanno tra le loro caratteristiche principali il vandalismo e la distruzione.
Il loro intento è distruggere, la violenza è la loro forma naturale di protesta, il disordine il suo strumento. Credono che i loro atti siano sempre e comunque giustificati dai loro ideali alti. I quali, in genere, si riassumo in approssimative dottrine anticapitalistiche mescolate ad un generico marxismo. Il termine black block, inizialmente usato per descrivere una tattica di protesta urbana, è oggi utilizzato per definire individui accomunati da caratteristiche estetiche e strategiche, più che da un’unità di intenti.
Nati in Germania negli anni ’80, nella sinistra extraparlamentare, sotto l’egida ideologica dell’antinuclearismo, sono oggi diffusi in gran parte del mondo. Una delle loro principali caratteristiche, consiste nell’indossare vestiti e maschere neri. Per non farsi riconoscere e dare l’idea, visti tutti assieme, di una amalgama unita e aggressiva.
Ora è chiaro ! I titoli dei quotidiani di sinistra di oggi svelano senza dubbi di chi sono le responsabilità dei saccheggi e dei vandalismi di Martedì 14 a Roma. Ora è chiaro da chi e perché è stato dato il via a questa devastazione vergognosa. La presa di posizione di questi giornali è chiara ! I famigerati black block non sono quella masnada di presunti studenti appartenenti e non ai centri sociali che scendono in piazza incappucciati con mazze e badili devastando e bruciando tutto.
Questi vergognosi quotidiani indicano chiaramente che i delinquenti in questo paese “secondo loro” sono il Ministro della difesa, quello della Giustizia e il Ministro dell’interno. La deriva sociale che sta rischiando questo Paese, deve essere chiaro, è di totale responsabilità di questa sinistra delinquenziale che sta tentando attraverso tutti i sui media e con la incomprensibile e tacita complicità di certe caste di potere, di alimentarla. Nell’incapacità di costruire democraticamente
una opposizione responsabile e propositiva e tanto meno un progetto politico serio, tenta con questa nuova forma di terrorismo di stravolgere la vita democratica Italiana.

Lettera di ex comunista !!

Anche io ex comunista condivido quanto espresso dal fratello sul manifesto e mi ci ritrovo in toto.La mia esperienza politica parte dal lontano 1966 con allora 14anni mi iscrivevo alla fgci per poi militarne all'interno fino al raggiungimento dei 18anni passando al pci. In quegli anni erano molto riveriti gli intellettuali della politica che beandosi delle loro pseudo preparazione cultural politica diventavano i leader del partito stesso.Al contrario io ero considerato un galoppino cioè la manovalanza che con piena coscienza accettavo perchè una organizzazionenon esiste di sole chiacchiere e teoremi ma necessita di attività materiali e fisiche per la promulgazione degli ideali.Ideali ai quali sono ancora molto legato con dalla fine del pci mi sono anche io sentito messo da parte.I signori cattocomunismi e sinistra extraparlamentare di oggi dovrebbero ringraziarci per il nostro impegno che permette loro di cazzeggiare nella fantapolitica delle rimenbranze opponendosi a tutto quello che non è farina del loro sacco.Stare alla finestra a giudicare gli altri ha una solo definizione "opportunismo".Loro sono dei polemici e non dei critici e come mi insegna la mia poca cultura la distinzione tra polemica e critica è che la prima è sempre vuota di contenuti mentre l'atra è propositiva ma loro non hanno proposte che non siano legate alle poltrone della casta di potere falsamente chiamatooperaio. Il fratello accennava alla certezza che in mano loro siamo solo lo strumento per far fare bella figura a quanto loro per primi non credono, cioè il bonismo il permessivismo e aggiunggo io il menefreghismo sociale.Per decenni abbiamo mangiato pane e falce e martello ora finalmente la spada di A. da Giussano stà ledendo il piedistallo di ipocrisie.Non mi vergogno di essere stato comunista in tempi non sospetti ma mi vergogno dell'atteggiamento e delle scelte fatte ora per arrivare ad ottenere il potere senza avere la minima idea del come elargirlo alle masse che per tardizione familiare ancora sono convinti che sia la soluzione ai propri problemi.Per chiudere questa mia elocubrazione vorrei aggiungere il ruolo della cgil che con il 70% dei propri iscritti non in attività si erge a sindacato maggiore condizionando la politica del centrosinistra e pretendendo di essere determinante sulle scelte politico economiche del governo.Ritengo doveroso consigliare a chi ancora getta il proprio voto ad una seria e culturale riflessione perchè se dei danni che ci puòquesta sinista ne pagheranno le conseguenze i nostri figli.Se a qualche fratello farà piacere mi impegno per segnalare abusi sociali nei confronti di noi indigeni (e son tanti).Un Padano e fraterno saluto a tutti voi.

Le adozioni sono una cosa seria !!





Non lasciamola in mano alle toghe !!

Anche la Cassazione fa ricorso, ma alle ritrattazioni. Se fino a ieri, infatti, pareva che i giudici di piazza Cavour avessero preso di mira l’impianto della famiglia tradizionale, così come da Costituzione italiana intesa, lasciando aperto un portone all’adozione anche da parte di un genitore single, oggi lo scenario si fa più sereno, anche se non del tutto. Perché se è vero che i giudici della Cassazione hanno dichiarato di non voler sottrarre il parlamento al suo ruolo di legislatore, anche in materia di adozioni, è altrettanto vero che il precedente oramai è creato, e si aspetta solo la prossima iniziativa dei radicali o fiellini di turno per dare seguito ad una deriva che potrebbe rivelarsi pericolosa.

lunedì 6 giugno 2011

Quando Mussolini creò la Marina d' Israele.

I rapporti con gli Italo-Israeliani, sia Risorgimentali che successivi alla Prima Guerra Mondiale furono strettissimi e cordiali. Tantissimi Italiani Israeliti furono Fascisti, con orgoglio e partecipazione.

Una pagina assai poco conosciuta di Storia Italiana è quella rappresentata dalla nascita della Marina d' Israele. Nata nel 1934 per volere di Benito Mussolini a Civitavecchia su richiesta di Vladimir Zeev Jabotinsky, uno dei leader della Destra Ebraica del Novecento che studiò anche a Roma, fondatore del Partito Revisionista che fu nazional-liberale ed anticomunista, oggi fuso nel Likud, su consiglio e segnalazione di uno dei responsabili della cellula giovanile italiana del partito, il Bethar, Maurizio Mendes.
Purtroppo oggi è veramente arduo trovare qualche libro sull' argomento; il principale, scritto da Leone Carpi nel 1965, "Come e dove rinacque la Marina d' Israele", è stranamente introvabile. Dico stranamente perchè in Italia qualcuno, evidentemente,non gradisce che si faccia luce sul comportamento del Fascismo nei confronti degli Israeliti ante 1938. Ma anche uno storico locale, Enrico Ciancarini e Renzo de Felice hanno scritto a riguardo.
Fu nell' Ottobre del 1934 che giunsero nella cittadina laziale i primi allievi ufficiali da ogni parte del mondo, per essere addestrati con perizia; all' inizio furono 28, arrivando successivamente a quasi 200 diplomati in tre anni. I corsi erano in italiano, lingua imparata in fretta dagli allievi, i quali sulle uniformi portavano un' ancora, la Menorah (il candelabro simbolo anche del Bethar)ed il Fascio Littorio Fascista, ed in alcune cerimonie ufficiali salutavano Romanamente,come ricordato dall' allora Capogruppo Avram Blass, successivamente divenuto Ammiraglio della Marina Israeliana.
Nel 1936 partì il Secondo Corso, davanti a nientepopodimeno che il Rabbino Capo di Roma, Sacerdoti, questo se i miei Fratelli Israeliti antifascisti italiani me lo concedono... Con moltissimi Israeliti Polacchi,sempre sotto gli ordini del Capitano Fusco, che seguirà anche il Terzo ed ultimo Corso del 1937. Nel frattempo era stata acquistato anche un veliero a motore da 60 metri, il "Quattro Venti", ribattezzato "Sarah I°", che nell' estate di quello stesso anno fece rotta verso la Palestina, dove fu accolta con moltissimi festeggiamenti dalla comunità ebraica. Era il primo mercantile della Storia Moderna d' Israele.
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Leggasi anche Renzo de Felice: "Storia degli Ebrei sotto il Fascismo". Capitolo "Il sionismo e la Politica Estera Fascista". Dove lo storico afferma che, senza il cambiamento della politica estera Italiana, la collaborazione sarebbe stata estesa al campo aeronautico e militare.
Un libro commissionato a De Felice espressamente dalla Comunità Israelita nel 1961, e che molti Italiani dell' Antico Testamento, che si ostinano ad incapponirsi con l'antifascismo, farebbero bene a leggere.

Non troverete i loro nomi sui libri di storia nelle scuole.

 Non troverete pacifisti finti che li piangono. Per questo parleremo di Loro.

Quello che nessuno ti dirà mai !
Willy Wagner, il Tenente della Wehrmacht che volle farsi eroe.
Questo è un morto dimenticatissimo, che ho ritrovato grazie a due righe di Marcello Veneziani di qualche anno fa. Un morto che dovrebbe essere celebrato tra i Giusti della Seconda Guerra Mondiale; la cui storia dovrebbe essere insegnata nelle scuole italiane e tedesche; e che avrebbe bisogno di grande risalto. Ma, tranne che a Trani, dove avvenne questo eroismo, praticamente nulla si trova.
Eroico accadimento che ebbe protagonisti figure forse troppo invise alla vulgata resistenziale: un Vescovo Cattolico, due Gerarchi Fascisti ed un Ufficiale Tedesco.
Ed ecco i fatti: 16 Settembre 1943, truppe canadesi con qualche elemento badogliano aggregato, uccidono in un' imboscata vera e propria presso il Cimitero di Trani 5 soldati della Wehrmacht, facendo dieci feriti. Due giorni dopo, secondo il Diritto Internazionale di Guerra allora vigente, furono rastrellati cinquanta abitanti della cittadina pugliese per essere fucilati.
I parenti e gli abitanti corsero ad avvisare il proprio Arcivescovo, Monsignor Francesco Petronelli, il quale si precipitò sulla piazza deputata all' esecuzione, cercando di convincere il giovane Tenente austriaco a risparmiare la vita a quei civili. Visto vano ogni tentativo, l' alto Prelato si pose davanti al plotone d' esecuzione già schierato, offrendo la propria vita in cambio di quella dei prigionieri. Subito imitato in questo da due Gerarchi Fascisti tranesi presenti: il Podestà, Giuseppe Pappolla, ed il Segretario del Fascio, Antonio Bassi. Tale gesto convinse l' ufficiale dell' Esercito Tedesco a liberare gli ostaggi, sebbene fosse conscio di quello che lo aspettava per questo atto di generosità. Infatti, come a conoscenza di ogni ufficiale, sottufficiale e soldato tedesco di allora, tale disubbedienza ad ordini superiori comportava la Pena Capitale. Questo non impedì al Cattolico Tenente Jelo Webl Will Wagner di agire secondo la propria coscienza: fu infatti prelevato su ordini superiori e costretto a scavarsi la fossa presso il Cimitero di Trani dove venne fucilato. Successivamente questo episodio fu oggetto di oblìo e confusione da parte tedesca per non generare precedenti, tanto che fino a poco tempo fa si considerava protagonista dell' episodio il Tenente F. Kurtz. Solo recentemente è stato riconosciuto il merito a Willy Wagner, il cui corpo fu trasferito dai tedeschi al Cimitero di Montecassino per un ulteriore tentativo di far dimenticare l' accaduto.
Ripeto,però, che ogni ufficiale, sottufficiale e soldato tedesco sapeva che ogni gesto di clemenza contrario agli ordini superiori avrebbe voluto dire la propria condanna.

Fonte: Starsandbars/Vandeaitaliana

Dedicato a chi definisce e difende il comunismo e la sua indissolubile bandiera con falce e martello dietro una ideologia di libertà e uguaglianza.

Bisogna essere determinati nell'affrontare il passato sia nazista sia comunista. E' ben noto e documentato che le dittature comuniste sono responsabili per la morte di decine di milioni di civili innocenti, in numeri addirittura superiori a quelli delle dittature naziste". "Se nessuno dovrebbe cercare di sottostimare l'importanza di prendere le distanze dall'estremismo di destra, lo stesso codice morale dovrebbe essere applicato al comunismo, l'altra ideologia estremista dello scorso secolo”.
I regimi fascisti e para-fascisti in tutto il mondo hanno causato circa 35-40 milioni di morti (compresi gli ignoti), i regimi comunisti in tutto il mondo hanno causato circa 100 milioni di morti (compresi gli ignoti).25 gennaio 2006 il Consiglio d'Europa stabilì la cifra di 94 milioni di morti circa di vittime nel nome della falce e martello più 6 milioni di ignoti. In molti stati simboli come la croce celtica, o saluti romani sono vietati dalla legge mentre simboli come falce e martello sono liberi di esse esposti ovunque. Perchè?
Per tutti quelli che quando vedono strade e piazze intitolate a personaggi come Stalin o Lenin o Mao inorridiscono e pensano che il comunismo nel mondo ha provocato 100 MILIONI DI VITTIME (fonti "libro nero del comunismo" e "il costo umano del comunismo") un dovere non dimenticare queste vittime! I PAESI COMUNISTI SI SONO DIMOSTRATI MOLTO PIU' EFFICACI NELLA PRODUZIONE DI GULAG E CADAVERI CHE IN QUELLA DI GRANO E DI BENI DI CONSUMO, ANCORA OGGI QUALCUNO LO NEGA...QUESTE VITTIME INNOCENTI DEVONO ESSERE ONORATE!!Sui lager comunisti (GULAG) sventolava il simbolo della falce e martello. Milioni e milioni di persone massacrate dal lavoro disumano o dalle fucilazioni a cui erano quotidianamente sottoposti per tutto il tempo della loro prigionia.. o se vogliamo essere più precisi.. per tutto il resto (breve) della loro vita. Quelli che sopravvivevano al lavoro o alla fucilazione morivano di fame o di ipotermia nei rigidi freddi sovietici. Si parla di 80 milioni di vittime.. cifre spaventose se rapportate alle vittime del nazismo (6 milioni). Le vittime del nazismo da ormai 60 anni sono ricordate una volta all’anno.. col giorno della memoria. Le vittime del comunismo sono state dimenticate (volontariamente) nell’oblio, e come se non bastasse, per i parenti di quelle vittime quel simbolo di morte e oppressione continua a sventolare... e nelle loro memorie suona come un insulto.
Dopo 70 anni di regime totalitario e un costo umano altissimo, in Urss si sono aperti gli archivi e qualcuno ha cominciato a cercare la verità sulla persecuzione comunista. Con enormi difficoltà, ostacoli, reticenze. L’esempio edificante di chi cerca di restituire almeno la memoria alle persone assassinate o scomparse .
Si è detto e scritto ormai dappertutto che dopo la caduta del Muro di Berlino e l'apertura degli archivi la storia del '900 ha finalmente incominciato a ricostruire molte zone d'ombra.Ma forse non ci si rende pienamente conto di cosa voglia dire «apertura degli archivi», quanta determinazione e lavoro questo abbia comportato e ancora comporti. L'apertura degli archivi non è il semplice accedere a nuove fonti d'informazione: innanzitutto gli archivi, almeno nell'ex Unione Sovietica, sono stati aperti a spizzichi e bocconi, con resistenze, ripensamenti. E secondariamente, anche là dove c'è stato spirito di collaborazione da parte delle autorità, i ricercatori si sono trovati davanti una massa immane di fascicoli e documenti da far sembrare inutile ogni sforzo.Comunque sia, tutte le acquisizioni degli ultimi anni non sono affiorate solo per la benevolenza del nuovo governo, ma sono state faticosamente strappate all'oblio, ricostruite pezzo dopo pezzo. Ci sono uomini e donne che a questo lavoro stanno dedicando la vita, le energie, ed è solo grazie alla loro dedizione che riemergono fatti nuovi, nomi, cifre, luoghi. Un esempio significativo è quello delle fosse comuni dove dagli anni '30 fino agli anni '50 sono state seppellite a mucchi le vittime delle fucilazioni. In russo non esiste neanche un termine sintetico per definirle, si dice semplicemente «luoghi di fucilazione e seppellimento di massa», alcuni studiosi occidentali li chiamano «campi di morte immediata»: sono luoghi dove non solo si seppelliva ma si fucilava direttamente, così che non stonerebbe il paragone con i campi di sterminio nazisti.Ma a differenza di questi ultimi, quei campi sovietici sono un enorme buco nero della storia: nessun libro di testo ne ha mai parlato. La cosa ancora più impressionante è che addirittura gli stessi archivi tacciono, nessun documento, nessuna sentenza, nessun ordine di fucilazione né atto di esecuzione porta scritto il nome del luogo dove questa era avvenuta; non esistono neppure testimonianze dirette. Eppure, che dovessero esistere dei posti speciali dove venivano praticate le fucilazioni e i seppellimenti di massa era chiaro a chiunque avesse familiarità con i dati di quegli anni. Prendiamo ad esempio la città di Mosca; erano stati rinvenuti i luoghi dove tradizionalmente venivano «smaltiti» i cadaveri dei fucilati: il giardino dell'ospedale della Jauza (anni 1921-1928), i cimiteri urbani (1926-1936), il crematorio del monastero Donskoj (1935-1953). Ma le centinaia di vittime quotidiane degli anni '37-38 non potevano materialmente venire assorbite da questi luoghi (e infatti i registri locali non li documentano).Spinto dall'opinione pubblica, l'ultimo governo sovietico nel 1991 aveva dunque disposto che il KGB ricercasse le fosse comuni delle repressioni politiche, era stata istituita una commissione speciale cui subito avevano chiesto di collaborare i volontari di varie associazioni private, come «Memorial». Così era riemerso dal non essere un aspetto della storia sovietica ancora più oscuro del Gulag. Una volta iniziato il lavoro, si era subito messo in luce un fatto incredibile, e cioè che l'ubicazione di questi luoghi, che negli anni staliniani doveva essere nota a molti funzionari degli organi repressivi, si era persa completamente; volutamente non era mai stata scritta su nessun documento e col passare delle generazioni era stata radicalmente cancellata dalla memoria, tanto che nel 1988-1990 nessuno all'interno del KGB aveva idea di dove fossero state fatte le fucilazioni. Un fatto ancora più strano era che negli anni '80 alcuni di questi «punti di morte immediata» erano ancora protetti con il filo spinato e tenuti sotto sorveglianza, ma evidentemente senza sapere il perché.Ma ci sono volute le ricerche geofisiche, antropologiche e archeologiche commissionate dalle associazioni private per stabilire alcuni dati essenziali, ad esempio il numero e la collocazione delle fosse, difficili da individuare in un terreno molto vasto, accidentato e coperto di vegetazione. Gli scavi condotti nel '97 a Butovo (gli unici mai fatti metodicamente) hanno individuato 14 fosse della larghezza media di 5,5 metri e una lunghezza totale di 900 metri; la superficie totale di queste sepolture è di 5 mila metri quadrati. Secondo la dichiarazione ufficiale degli esperti dei Servizi Federali di sicurezza a Butovo si trovano presumibilmente 26 mila corpi, a Kommunarka 14 mila. Ma in base agli scavi dell'archeologo Michail Frolov le cose non stanno così: in uno scavo esplorativo di 12 metri quadrati sono stati rinvenuti 150 corpi; se la densità è costante, vuoi dire che a Butovo sono sepolte non meno di 60 mila persone.Di questa lotta per la memoria potrebbe raccontare molti particolari una signora moscovita timida e riservata, Lidija Golovkova. Pittrice di professione, che si è trovata coinvolta senza volere in una storia di fucilati e fosse comuni da quando, alla fine degli anni '80, mentre vagava per la campagna fuori Mosca alla ricerca di qualche bel paesaggio. Le sue ricerche continuano, instancabili, per lei ricostruire l'identità delle vittime è un atto di riparazione e di pietà. Ha insistito dieci anni perché la Lubjanka le concedesse i dossier e le foto dei prigionieri di Suchanovka. Delle migliaia di vittime di cui ha recuperato il nome e ricostruito gli ultimi giorni, ricorda ogni dettaglio, il volto innanzitutto, la professione, la vita familiare, le circostanze dell'arresto.Racconta con grande commozione (ogni volta rinnovata) tutti i particolari che è riuscita a ricostruire sulla tecnica della fucilazione: i detenuti venivano caricati sul furgone cellulare (20 o 30, talvolta anche 50) come per un trasferimento comune, senza che sapessero nulla per evitare reazioni. Raggiunto il poligono di Butovo intorno alle 2 di notte, venivano fatti scendere e controllati in base alle istantanee fatte poco prima, poi rinchiusi in una baracca dove veniva loro letta la sentenza. A quel punto entrava in azione la «squadra speciale», non più di tre o quattro fucilieri, ufficiali, che prendevano i detenuti uno a uno, li portavano fuori con le mani legate, fino al bordo della fossa che era stata scavata durante il giorno, quindi sparavano alle spalle un solo colpo alla nuca.Fra l'agosto del '37 e il novembre del '38 raramente si fucilavano meno di 100 persone al giorno, spesso erano 3/400; il 28 febbraio 1938 erano stati 562. Nelle mani di Lidija Golovkova oggi restano migliaia di foto segnaletiche; le maneggia col rispetto e la pietà che si riserva alle persone care. La cosa che più la tormenta è di non essere riuscita a strappare ai Servizi di sicurezza migliaia di altre foto (ognuna porta scritto sul retro il nome) che sono andate al macero. Il 29 gennaio 1989 a Mosca è nata un'associazione storico-educativa chiamata «Memorial», con lo scopo preciso di recuperare e conservare - con tutti i rigori della ricerca storica - la memoria delle repressioni politiche e della battaglia per i diritti umani. Il primo presidente è stato l'accademico Andrej Sacharov, riconosciuta autorità del dissenso. Si autodefinisce un «movimento», che ha aperto decine di filiali in provincia, oltre che in Kazachstan, Lettonia, Georgia e Ucraina.«Memorial» si è accollata un immane lavoro di vaglio degli archivi, creazione di data base delle vittime, di tutti i campi e luoghi di sterminio, dei carnefici, delle bibliografie tematiche. Ha aperto numerosi musei nei luoghi più significativi; si adopera perché nelle città russe compaiano lapidi e segni di memoria, come la pietra delle Solovki posta sulla piazza della Lubjanka. Grazie ai volontari di «Memorial», oggi i luoghi di sterminio in nome, della Falce e Martello, in nome dell’uguaglianza, individuati sono più di 600.

Raffaele Varricchio (da ilpensieroverde.blogspot.com )